Punto di incontro tra praticanti di arti marziali
Le origini delle più celebri arti marziali sono rintracciabili in India; la tradizione fu esportata dai monaci buddhisti in Estremo Oriente e, come lo stesso insegnamento del Buddha, ebbe poi più fortuna all'estero che in patria.
Secondo la leggenda Parasurama, uno degli Avatars, manifestazioni-incarnazioni, di Vishnu, fece emergere il Kerala dalle acque del Mar Arabico lanciando in esse la sua ascia. Poi popolò la nuova terra con quattro selezionatissimi clan di sapienti brahmani. La difesa della terra era però assegnata per competenza, dharma e tradizione, esclusivamente alla casta degli Kshatriya; Parasurama decise così di insegnare ai brahmani del Kerala come difendersi da sè. A loro volta questi poi istruirono nell'arte della difesa 21 uomini coraggiosi e costruirono per ognuno di essi un Kalari affinchè allenassero e istruissero il popolo. Nacque così il Kalari Payattu, l'antica arte marziale del Kerala. Kalari - dal sanscrito Kaloorika - è il nome dato al recinto, l'arena o palestra dove si pratica - Payattu - costantemente l'arte. Ancora ai giorni nostri, nei Kalari, vengono offerte Puja per onorare i 4 clan e i 21 Guru della leggenda.
Le origini celsti del Kalari payatt possono certamente venir messe in dubbio, ma poichè la sua pratica è menzionata negli scritti sin dal XIII secolo, la sua antichità è inconfutabile e fa di questa la più antica Arte marziale codificata e ancora praticata. Gli studiosi la fanno risalire addirittura al IV secolo a.C. E' considerata la più completa e scientifica tra le Arti marziali nonchè la madre di tutte le altre sviluppatesi in Estremo Oriente. La tradizione vuole che fosse il monaco buddhista indiano Bodhidharma a esportare il Kalari in Cina insieme alla sua fede, e ciò che egli insegnò si sviluppò poi nel Kung fu e nel Karate
Ciò che fa del Kalari Payatt una pratica unica è che comprende molto di più delle altre Arti marziali. Uno studente di kalari deve studiare filosofia, medicina, attacco e autodifesa ma, soprattutto, deve imparare ad evitare il confronto. Impara comunque anche a curare le ferite eventualmente causate all'avversario e, negli studi avanzati, imparerà a conoscere i punti Marma. Un colpo ben assestato in questi punti potrà lasciare invalido o anche uccidere l'avversario. Una diversa pressione negli stessi potrà invece curare da molte affezioni. Le tecniche cinesi di agopuntura si basano infatti sugli stessi Marma. Il Kalari comprende anche l'apprendimento di mantra la cui potenza è considerata impareggiabile
E' proprio il fatto che siano i brahmini a praticare il Kalari che fa di questa molto più di una comune Arte Marziale. L'influenza della loro cultura tradizionale fece sì che col Kalari si impartisse agli studenti un insegnamento tanto per il corpo quanto per la mente, affinchè questi si formassero come uomini a tutto tondo e non come semplici poderosi guerrieri. Nel XV secolo il Kerala era sprovvisto di un forte potere centrale, cosa che favorì lo svilupparsi di molti piccoli regni indipendenti, in costante guerra fra loro. Per evitare i continui sanguinosi scontri si giunse alla consuetudine di far rappresentare i re rivali in conflitto ognuno dal proprio guerriero kalari. Il vincitore dell'incontro vinceva la guerra simbolica per il suo re
Durante la dominazione britannica gli inglesi, incapaci di comprendere le sfumature del Kalari e terrorizzati dalle capacità letali dei suoi praticanti, la proibirono. La tradizione era dunque destinata a morire se non fosse stato grazie ad alcuni coraggiosi maestri che segretamente continuarono a tramandarla, trasformata però, date le circostanze, da nobile pratica di re a pratica segreta in lotta per la sopravvivenza. Purtroppo la messa fuorilegge inglese causò ad ogni modo indicibili danni e buona parte delle conoscenze acquisite in secoli andò perduta, ma quel che resistette è ancora potente: sono necessari non meno di 12 anni di studi e pratiche, per poterlo padroneggiare.
IL PANCRAZIO
Il pancrazio è un antico sport da combattimento, un agone atletico, che faceva parte dell'atletica pesante di origine greca antica e consisteva in un misto di lotta e pugilato. Il termine in greco antico παγκράτιον, traslitterato in pankràtion, significa "onnipotenza", da pan = tutto e kràtos = potere, forza; ad indicare che il lottatore sconfiggeva il suo avversario utilizzando tutta la sua forza e tutte le parti del corpo, con ogni tecnica a mano nuda ammessa.
Questo "sport" fu ammesso ufficialmente alle olimpiadi nel 648 a.C..
Il pancrazio era uno agone da combattimento totale dove tutte le tecniche erano ammesse, tranne il mordere e il graffiare, punite severamente con frustate dall'arbitro o dall'allenatore di turno.
Pankration è l'unione di due termini greci, Pan tutto e Kratos, potenza. Il significato di questo legame è proprio "Onnipotenza", che annuncia già lo scopo e il fine di questo sport: sottomettere l'avversario ed assurgersi a diventare il più potente. Logicamente con questo asserto, le prese e i colpi di potenza e la spettacolarità nel sottomettere con forza, la facevano da padrone.
Questa disciplina era un insieme di tecniche prese dalla lotta (Pale) e dal pugilato (Pygme) e adattate ad un nuovo sistema di combattimento. Inoltre erano inserite tecniche sviluppate solo per questo contesto, le Pankration techne, che davano modo di fluire durante l'azione totale e permettere l'uso di qualsiasi abilità che in uno sport totale è ed era ritenuto essenziale. Infatti caratteristica originale era il poter combattere a tutti i livelli di altezza e a tutte le distanze. Fino all'arrivo contemporaneo delle nuove discipline come il vale tudo prima e le arti marziali miste poi, il pancrazio fu l'unico "sport" da combattimento totale dell'umanità.
Gli incontri di pancrazio venivano effettuati a mani nude.
Scena di un pancrazio: l'arbitro punisce con una frusta un atleta che tenta di accecare l'avversario.
Non c'erano né round e né limiti di tempo, si combatteva fino alla resa di uno dei due che poteva essere per cedimento, per il classico ko o dichiarata dallo stesso atleta, che onorava, quando poteva fisicamente, il vincitore mostrando la sconfitta alzando l'indice in su verso l'arbitro. Talvolta e non di rado un atleta si ritirava per timore di scontrarsi con qualche campione che vinceva senza "sporcarsi di sabbia", l'Akoniti.
Una delle storie più famose è quella di Arrachione che spezzo la caviglia, ma nel farlo morì soffocato proprio mentre l'avversario si arrendeva; i giudici furono costretti a decretarlo vincitore da morto.
Neanche il ring (o la gabbia) come lo concepiamo noi era presente ma sia le gare, che gli allenamenti, si svolgevano in uno spazio con sabbia predisposto nello stadio o nella palestra chiamato Skamma, questo attutiva tra l'altro le cadute e dava maggior stabilità nelle tecniche effettuate in piedi.
Una delle particolarità delle antiche Olimpiadi era l'abitudine a combattere sotto il sole cocente estivo a metà della giornata. La maggior parte delle manifestazioni avvenivano in piena estate, e competere sotto la coltre di calore con i raggi perpendicolari poteva essere un nemico in più per la ricerca dell'agognata vittoria e non di rado atleti famosissimi altrove, persero proprio per il disagio a questa situazione ambientale.
Era usato abbondantemente olio di oliva per contrastare scottature ma anche per tutelare la pelle da abrasioni ed escoriazioni dovute alle prese e per le pressioni continue nella fase di lotta; proprio a causa di questa usanza si formava sul corpo uno strato di olio e sabbia chiamato Gloios, che veniva eliminato, negli spogliatoi, con l'uso dello strigile (un arnese di metallo a forma ricurva), e molte volte venduto per la credenza che questo composto avesse potere di guarigione.
Le palestre in antichità provvedevano oltre all'allenamento degli atleti anche a essere fulcro dell'educazione. Gymnasion era il termine che indicava i luoghi dello sport, che oltre la palestra avevano anche spazi per le altre discipline; questo vocabolo deriva da Gymnos che significava nudo e Gymnasion: luogo dove ci si allena nudi, pratica detestata dai Romani e dagli etruschi che usarono sempre uno Zoma, una specie di gonnellino di pelle o di stoffa, per coprirsi.
I campioni dell'antichità venivano innalzati ad eroi, pagati nei festival più importanti solo con una corona, come quella di ulivo ad Olimpia. Divennero vere celebrità e personalità influenti. Le città dell'antichità facevano di tutto per potersi onorare ad avere un atleta nelle loro mura. Anche nel periodo imperiale romano, molti aristocratici e imperatori, affascinati dalla cultura greca divennero loro stessi atleti. All'interno dei circoli atletici ci furono i primi rudimenti di medicina e dietetica sportiva: Pitagora, frequentava i lottatori della famosa scuola di Crotone (tra cui il famoso Milone, di cui sposerà la figlia) proprio per consigliare nuove metodologie nella dieta, tra cui il consumo di molta carne e altri derivati da animali, ma anche per studiare i benefici degli esercizi sulla fisicità umana.
Alcuni atleti divennero talmente importanti e famosi che le loro imprese arrivarono oltre i le frontiere dei territori del mondo greco-romano, come fu' per il campione Polidamante di Scotussa. Le gesta eroiche di questo campione arrivarono anche in Persia, dove Dario II lo invitò alla città di Susa, nemica acerrima della Grecia, per farlo sfidare da tre combattenti persiani, chiamati gli "immortali" per la loro forza ed astuzia. Per il mondo greco, combattere al di fuori delle competizioni regolamentari atletiche, era una cosa impensabile, non concepibile, ma i persiani che non vedevano di buon occhio il mondo della palestra (come descritto da Luciano nell'Anacarsi) volevano uno scontro cruento, violento fino alla morte, al di fuori da ogni regola di gara. Polidama che aveva vinto centinaia di incontri, accettò senza batter ciglio e si presentò al combattimento (chiese solo di essere pagato profumatamente), dove affrontò tutti e tre, con poco tempo per riposare tra uno e l'altro "incontro". Ne ammazzo' due e fece scappare l'ultimo combattente in preda alla paura; tutti i persiani rimasero sconvolti da tale potenza e da tali conoscenze.
La visione atletica e dell'allenamento greco incominciò così ad incuriosire anche popoli nemici o lontani ed arrivare, come nel caso di Alessandro in Grande, sino alla lontana India dove l'importazione di questa nuova realtà fece nascere le prime pratiche agonali indiane.
I campioni, gareggiavano, oltre per la corona soprattutto per i premi, infatti il termine Athlon, da cui deriva "atletica" e "atleta", significa proprio: competere per un premio; oltre per le contese anfore di olio di oliva era il denaro che attirava i desideri di questi uomini. I veri campioni inoltre miravano anche a farsi immortalare in una statua e diventare simbolo per i propri cittadini, parenti ed amici, ma anche avere una chance di immortalità come il poeta Pindaro con le sue Odi ci annuncia. Proprio attraverso l'arte classica si può oggi percepire come e cosa facevano gli atleti in antichità. L'atletismo antico affascinò talmente gli artisti dell'epoca e quelli avvenire tanto da essere equiparata all'affascinazione religiosa.
Gli atleti e la vittoria olimpica (Nike) divennero talmente importanti che durante i festival olimpici tutte le guerre cessavano per permettere da ogni dove, di giungere nei luoghi deputati alle competizioni, senza subire danno o problemi di tipo logistico. Molti viaggiavano con sacrificio e privazioni per intere settimane pur di partecipare o per essere spettatori dei giochi olimpici.